A Bruxelles, il 15 dicembre 2025, il Partito Democratico Europeo ha chiesto un intervento immediato delle istituzioni dell’Unione sulla crisi che sta scuotendo l’Ungheria: nuovi elementi, emersi negli ultimi giorni, indicano che migliaia di minori sarebbero stati vittime di abusi psicologici, fisici e sessuali in istituti pubblici legati al sistema di protezione dell’infanzia e alla giustizia minorile, senza che le autorità intervenissero con tempestività ed efficacia. Per il PDE il punto non è solo giudiziario, ma profondamente politico e europeo: quando chi dovrebbe proteggere i più fragili fallisce, e quando la responsabilità pubblica non produce conseguenze, lo Stato di diritto si indebolisce e i diritti fondamentali diventano negoziabili. Secondo quanto riportato nella nota del PDE, la gravità della vicenda risiede anche nella sua durata e nella consapevolezza istituzionale. Rapporti ufficiali risalenti al 2021, resi pubblici solo di recente, mostrerebbero che le autorità competenti erano già al corrente dell’ampiezza del problema, ma non avrebbero agito in modo adeguato per fermare le violenze e garantire piena accountability. Nel tempo sarebbero stati documentati oltre 3.000 casi di abusi di varia natura, inclusi episodi di violenza sessuale, sfruttamento e situazioni collegate alla prostituzione minorile, con particolare attenzione alle strutture di correzione giovanile, tra cui il Budapesti Javítóintézet, l’istituto di rieducazione minorile di via Szőlő a Budapest. È un quadro che, per il PDE, interroga direttamente la capacità dello Stato di proteggere i minori e di impedire che luoghi nati per l’assistenza e la rieducazione diventino spazi di impunità. In questo contesto, Sandro Gozi, segretario generale del Partito Democratico Europeo e parlamentare europeo di Renew Europe, ha legato la denuncia a un tema centrale per l’agenda liberale e centrista europea: la difesa concreta dei diritti, senza eccezioni e senza doppi standard. “Questo non è un caso isolato ma un fallimento sistemico. Quando gli abusi contro i bambini sono noti dal 2021, quando migliaia di casi sono documentati, e quando violenza sessuale e sfruttamento vengono ignorati, la responsabilità è ai vertici. È evidente che le uniche famiglie che Viktor Orbán protegge davvero sono la sua e quelle dei suoi alleati politici — non le famiglie ungheresi, e certamente non i bambini rinchiusi in istituti statali e riformatori. L’Europa non può restare in silenzio quando i diritti fondamentali vengono così chiaramente violati”, ha dichiarato, richiamando l’obbligo dell’Unione di farsi garante dei più vulnerabili, soprattutto quando non hanno voce per difendersi. La linea d’azione indicata dal PDE punta ora a trasformare l’indignazione in verifiche istituzionali e misure operative. Gozi ha presentato un’interrogazione parlamentare scritta alla Commissione europea per chiedere trasparenza sull’utilizzo dei fondi UE in Ungheria nei settori della giustizia minorile e della tutela dei minori in strutture residenziali. L’obiettivo è chiarire quali programmi finanziati dall’Unione siano coinvolti, quali risorse siano state impiegate, se tali progetti abbiano interessato anche istituti di detenzione o correzione minorile e se le garanzie oggi previste siano sufficienti alla luce del carattere “sistemico” degli abusi descritti. Il PDE chiede inoltre un rafforzamento della supervisione europea, includendo la possibilità di una missione di accertamento del Parlamento europeo. L’impatto sociale della vicenda, intanto, è esploso nello spazio pubblico ungherese. La nota del PDE segnala grandi proteste a Budapest nel fine settimana, con decine di migliaia di cittadini scesi in piazza per chiedere verità, giustizia e una protezione reale dei bambini affidati allo Stato. In questo clima, Péter Márki-Zay, presidente di Mindenki Magyarországa Néppárt, partito ungherese membro del PDE, ha attribuito una responsabilità politica diretta al primo ministro: “Viktor Orbán non ha protetto i bambini pur sapendo tutto. Ha protetto i predatori pedofili per difendere il suo regime. Ora basta: con la forza dell’Europa e il coraggio degli ungheresi dobbiamo fermare Orbán! Mettiamolo in prigione!”. Per il PDE, al di là della durezza del linguaggio politico, la questione resta una sola: garantire che la tutela dell’infanzia non sia sacrificata a interessi di potere e che le istituzioni rispondano delle proprie omissioni. Il Partito Democratico Europeo insiste che questa iniziativa non è una contesa di parte: riguarda la protezione dei bambini, l’applicazione effettiva dei diritti fondamentali e la tenuta dello Stato di diritto nell’Unione. Nel quadro di Renew Europe, il PDE rivendica un ruolo di impulso affinché la Commissione e il Parlamento europeo agiscano con rapidità, facciano luce su eventuali responsabilità e verifichino che le risorse europee destinate alla tutela dei minori producano controlli e risultati misurabili. Il prossimo passaggio, per i democratici europei, è trasformare l’accertamento dei fatti in decisioni europee coerenti: più trasparenza, più supervisione, più protezione per chi non può difendersi da solo.
A Bruxelles, il 15 dicembre 2025, il Partito Democratico Europeo ha chiesto un intervento immediato delle istituzioni dell’Unione sulla crisi che sta scuotendo l’Ungheria: nuovi elementi, emersi negli ultimi giorni, indicano che migliaia di minori sarebbero stati vittime di abusi psicologici, fisici e sessuali in istituti pubblici legati al sistema di protezione dell’infanzia e alla giustizia minorile, senza che le autorità intervenissero con tempestività ed efficacia. Per il PDE il punto non è solo giudiziario, ma profondamente politico e europeo: quando chi dovrebbe proteggere i più fragili fallisce, e quando la responsabilità pubblica non produce conseguenze, lo Stato di diritto si indebolisce e i diritti fondamentali diventano negoziabili. Secondo quanto riportato nella nota del PDE, la gravità della vicenda risiede anche nella sua durata e nella consapevolezza istituzionale. Rapporti ufficiali risalenti al 2021, resi pubblici solo di recente, mostrerebbero che le autorità competenti erano già al corrente dell’ampiezza del problema, ma non avrebbero agito in modo adeguato per fermare le violenze e garantire piena accountability. Nel tempo sarebbero stati documentati oltre 3.000 casi di abusi di varia natura, inclusi episodi di violenza sessuale, sfruttamento e situazioni collegate alla prostituzione minorile, con particolare attenzione alle strutture di correzione giovanile, tra cui il Budapesti Javítóintézet, l’istituto di rieducazione minorile di via Szőlő a Budapest. È un quadro che, per il PDE, interroga direttamente la capacità dello Stato di proteggere i minori e di impedire che luoghi nati per l’assistenza e la rieducazione diventino spazi di impunità. In questo contesto, Sandro Gozi, segretario generale del Partito Democratico Europeo e parlamentare europeo di Renew Europe, ha legato la denuncia a un tema centrale per l’agenda liberale e centrista europea: la difesa concreta dei diritti, senza eccezioni e senza doppi standard. “Questo non è un caso isolato ma un fallimento sistemico. Quando gli abusi contro i bambini sono noti dal 2021, quando migliaia di casi sono documentati, e quando violenza sessuale e sfruttamento vengono ignorati, la responsabilità è ai vertici. È evidente che le uniche famiglie che Viktor Orbán protegge davvero sono la sua e quelle dei suoi alleati politici — non le famiglie ungheresi, e certamente non i bambini rinchiusi in istituti statali e riformatori. L’Europa non può restare in silenzio quando i diritti fondamentali vengono così chiaramente violati”, ha dichiarato, richiamando l’obbligo dell’Unione di farsi garante dei più vulnerabili, soprattutto quando non hanno voce per difendersi. La linea d’azione indicata dal PDE punta ora a trasformare l’indignazione in verifiche istituzionali e misure operative. Gozi ha presentato un’interrogazione parlamentare scritta alla Commissione europea per chiedere trasparenza sull’utilizzo dei fondi UE in Ungheria nei settori della giustizia minorile e della tutela dei minori in strutture residenziali. L’obiettivo è chiarire quali programmi finanziati dall’Unione siano coinvolti, quali risorse siano state impiegate, se tali progetti abbiano interessato anche istituti di detenzione o correzione minorile e se le garanzie oggi previste siano sufficienti alla luce del carattere “sistemico” degli abusi descritti. Il PDE chiede inoltre un rafforzamento della supervisione europea, includendo la possibilità di una missione di accertamento del Parlamento europeo. L’impatto sociale della vicenda, intanto, è esploso nello spazio pubblico ungherese. La nota del PDE segnala grandi proteste a Budapest nel fine settimana, con decine di migliaia di cittadini scesi in piazza per chiedere verità, giustizia e una protezione reale dei bambini affidati allo Stato. In questo clima, Péter Márki-Zay, presidente di Mindenki Magyarországa Néppárt, partito ungherese membro del PDE, ha attribuito una responsabilità politica diretta al primo ministro: “Viktor Orbán non ha protetto i bambini pur sapendo tutto. Ha protetto i predatori pedofili per difendere il suo regime. Ora basta: con la forza dell’Europa e il coraggio degli ungheresi dobbiamo fermare Orbán! Mettiamolo in prigione!”. Per il PDE, al di là della durezza del linguaggio politico, la questione resta una sola: garantire che la tutela dell’infanzia non sia sacrificata a interessi di potere e che le istituzioni rispondano delle proprie omissioni. Il Partito Democratico Europeo insiste che questa iniziativa non è una contesa di parte: riguarda la protezione dei bambini, l’applicazione effettiva dei diritti fondamentali e la tenuta dello Stato di diritto nell’Unione. Nel quadro di Renew Europe, il PDE rivendica un ruolo di impulso affinché la Commissione e il Parlamento europeo agiscano con rapidità, facciano luce su eventuali responsabilità e verifichino che le risorse europee destinate alla tutela dei minori producano controlli e risultati misurabili. Il prossimo passaggio, per i democratici europei, è trasformare l’accertamento dei fatti in decisioni europee coerenti: più trasparenza, più supervisione, più protezione per chi non può difendersi da solo.




